“Valutiamo con favore la possibilità di accogliere quanti sono stati sgomberati negli immobili sequestrati alla mafia. Ma c’è una piccola difficoltà: siccome buona parte di essi sono a oggi inagibili, occorrono risorse per ristrutturarli e renderli abitabili che i comuni non posseggono. Pertanto, se il governo istituisce un fondo ad hoc, non c’ è alcuna obiezione all’ ipotesi ventilata”.
Intervistato dal quotidiano il Mattino, Antonio Decaro, presidente ANCI e sindaco di Bari, apre all’ipotesi ventilata dal Viminale in risposta all’emergenza abitativa. Seppure con importanti distinguo.
Sindaco, anche i numeri pongono un problema non da poco. Dato che 13mila beni confiscati alla mafia su 17mila sono al Meridione, non si rischia di creare un esodo di rifugiati al Sud?
“Lo trovo un falso problema. A occupare gli immobili non sono soltanto rifugiati, che ad ogni modo hanno per legge gli stessi diritti dei nostri concittadini, ma anche e soprattutto connazionali disagiati, famiglie italiane che versano in grave difficoltà economica e senza tetto. Non commettiamo l’errore di associare i fatti di Roma, dove pure l’immobile sgomberato era popolato soprattutto da rifugiati, al tema immigrati. Le misure allo studio del Viminale arrecheranno beneficio a molti italiani, ossia la maggior parte di quanti hanno occupato case e appartamenti perché in difficoltà”.
Altri suoi colleghi vedono l’uso di beni confiscati come una chimera, si tratta per lo più di edifici inagibili. È così?
“Già una legge di due anni fa, approvata dopo che il governo sbloccò gli sfratti, ha dato ai Comuni la possibilità di utilizzare immobili del demanio tramite una procedura velocissima. Basta fare richiesta all’Agenzia del Demanio, e la pratica viene chiusa in tempi molto rapidi. Il tema semmai è un altro. Se non ci sono i soldi per mettere a norma l’impianto elettrico o per installare il riscaldamento, le case non possono essere assegnate. Se il governo stanzia dei fondi che ci consentano di rendere agibili anche gli edifici sequestrati, non vedo alcun tipo di ostacolo”.
Ma rendere agibile un edificio bisognoso di ristrutturazioni richiederebbe tempi lunghi non proprio compatibili con un’ emergenza abitativa.
“Non è così. Si tratta per lo più di interventi semplici e neanche troppo costosi, come il rifacimento dell’illuminazione. Lavori che possono essere sbrigati nell’ arco di un paio di mesi al massimo”.
Il caso di Roma associa però nell’ immaginario l’ emergenza abitativa al caso dello sgombero forzato. Non teme che le destre possano dire che per gli immigrati si è trovata una soluzione rapida mentre gli italiani sono stati ignorati per decenni?
“È un terreno di scontro nel quale non intendo farmi trascinare. I rifugiati hanno gli stessi diritti degli italiani. E in ogni caso, molti italiani beneficeranno del piano emergenziale allo studio del Viminale”.
Lo sgombero di via Curtatone è una sconfitta per tutti, come ha detto Emma Bonino?
“È evidente che a Roma qualcosa non ha funzionato. È stata una sconfitta per le istituzioni, che deve però diventare l’occasione per varare un piano casa nazionale, e nuove linee guida che oltre a essere previste dalla legge, sono misure di buon senso. Nella mia città, sono avvenute decine di sgomberi, fatti con ordine e razionalità. A Roma si è forzata la mano, senza trovare prima un’ alternativa per chi soffre. Il caos è stata la logica conseguenza”.